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Gabriele Cruciata

Attenzione: a causa degli argomenti trattati alcuni contenuti di questo podcast potrebbero urtare la vostra sensibilità. 

Il Santa Maria della Pietà di Roma è stato il manicomio più grande d’Europa. Rimasto in funzione fino al 
1999, oggi appare come un grande parco pubblico parzialmente abbandonato. Eppure le sue mura custodiscono ancora oggi la storia della psichiatria italiana, dalle cure religiose del Cinquecento fino alle conquiste di civiltà più recenti. I suoi archivi parlano di storie di sofferenze, di reclusione e di tortura. La Gabbia dei matti ricostruisce in sei puntate la storia del manicomio di Roma, raccontandone i cambi di sede, gli archivi, gli edifici e la rivoluzione che a suon di proteste e arresti introdusse la dottrina pensata da Franco Basaglia. E attraverso la voce di ex infermieri, ex pazienti e di esperti, il podcast racconta com’è cambiata nei secoli e nei decenni la gestione dei pazienti psichiatrici di tutta Italia, toccando anche le città di Gorizia, Genova, Milano, Torino e Reggio Calabria.

La Gabbia dei Matti

Le due guerre mondiali segnano anche chi riesce a sopravvivere. Gli archivi restituiscono le storie di civili e militari segnati per sempre dalle violenze: allucinazioni, ipersensibilità a suoni e luce, pensieri
suicidi. Li chiamavano gli “scemi di guerra”. Nel frattempo a Roma è arrivata una nuova struttura: i piccoli appartamenti hanno lasciato spazio al complesso monumentale che esiste ancora oggi. È qui
che inizia a lavorare un infermiere che pochi decenni più tardi rivoluzionerà la storia di tutta la città. Il suo nome è Adriano.

2. Scemi di guerra

Il trattamento riservato ai matti non sta bene a tutti. Tra i più insoddisfatti c’è uno psichiatra veneziano frustrato ed escluso dal mondo accademico che si chiama Franco Basaglia. Il professore viene
mandato a dirigere un manicomio ai confini dell’Occidente. È da qui che grazie a un manipolo di collaboratori stretti e fedeli avvierà una rivoluzione rimasta unica in tutto il mondo.

4. I matti veri

Siamo abituati a pensare che alla malattia mentale si risponde con la scienza. Ma per secoli abbiamo
risposto con la religione. Le strutture erano piccole e inadatte. I ricoverati obbligati a chiedere
l’elemosina. Il Tribunale dell’Inquisizione usava il manicomio per condannare gli empi. Tra le atrocità più incredibili c’erano le “stanze della paglia”, dove le persone erano tenute come bestie, legate al muro con catene di ferro. Ma poi passano i secoli e arriva il 1904, l’anno in cui Giolitti sancisce il passaggio da religione a scienza. Ma le torture sono ben lontane dall’essere finite.

1. Santi e peccatori

Dopo vari anni, Adriano riesce a incontrare di nuovo Alberto, un suo ex paziente. Alberto ha passato 40 anni in manicomio senza avere alcuna diagnosi. La sua colpa era l’esser vivace e l’aver avuto una madre anaffettiva. La sua storia non è isolata: molti dei bambini e delle donne che finivano in manicomio erano solo poveri, omosessuali o non conformi alla morale del tempo. Il loro destino era segnato: reclusione, contenzione e un’invenzione nuova di zecca. Era l’elettroshock.

3. Tortura di Stato

Il 1974 è un anno violento. A Roma non c’è aria di golpe solo nei palazzi della politica, ma anche al Santa Maria della Pietà. È qui che Adriano e altri infermieri tenteranno un’apertura del manicomio sulla scia degli insegnamenti di Basaglia. Ma troveranno una resistenza piuttosto tenace, e saranno costretti alla rivoluzione vera e propria.

5. Una mezza rivoluzione

Nel 2021, ad Ardea, un uomo esce di casa e uccide a sangue freddo due bambini e un anziano. Aveva ricevuto un TSO ma era in giro e armato. Com’è possibile? Cosa rimane della rivoluzione basagliana
dopo più di 40 anni? Le strutture esistono ancora, ma spesso non rispettano le norme. I servizi territoriali per i pazienti e le loro famiglie hanno perso molti fondi. Più volte si è provato a ricostruire dei
ghetti per soli pazienti psichiatrici. Ignazio Marino ripercorre la chiusura degli OPG, i manicomi criminali chiusi a seguito di un’inchiesta parlamentare.

5. Una mezza rivoluzione

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